The 3 Questions – Echi dallo studio | Roni Chadash
- Silvana Ranaudo

- 27 nov
- Tempo di lettura: 3 min

Abbiamo incontrato Roni Chadash, una coreografa che esplora come un’idea grezza possa crescere attraverso il corpo e come diventare madre sposti tutto, dentro e fuori la sala. Dopo cinque settimane con i danzatori e le danzatrici di Nuova X, condivide il suo linguaggio fisico, i suoi dubbi e le piccole scoperte di questa nuova fase.
Quando inizi una nuova creazione, di solito cosa arriva per primo – un concetto, un brano musicale, un’immagine o il movimento stesso?
Cambia da un lavoro all’altro. A volte è una tensione tra due opposti interiori; altre volte è un rapporto con la musica che mi ispira, anche se ancora non capisco del tutto cosa risvegli dentro di me. Può essere anche un’immagine visiva o una fotografia che fa nascere il desiderio di trovarne una traduzione fisica, oppure un linguaggio di movimento che ho voglia di sviluppare in un pezzo.
In tutti i miei lavori, l’idea iniziale è piuttosto grezza e indefinita – mi piace lasciare spazio al corpo, in sala, perché prenda quel punto di partenza e ci scopra qualcosa di nuovo. Spesso ho la sensazione di allontanarmi molto da dove ero partita, per poi rendermi conto, alla fine, di essere tornata esattamente a quel primo impulso.
Cinque settimane di ricerca, lavorando con danzatori in formazione che non conoscevi: che approccio usi per condividere il tuo linguaggio di movimento?
Per me è molto importante iniziare ogni giornata con un warm up basato sul linguaggio fisico con cui lavoro. Dà ai danzatori un momento per concentrarsi sulla tecnica di questo linguaggio, invece di entrare subito negli aspetti creativi o esplorativi. Li aiuta a focalizzarsi sul corpo e sull’attenzione ai tanti dettagli che il mio movimento contiene.
Parlo spesso dell’uso della testa come organo, non come centro di controllo, e gioco con esercizi che permettono alla testa di diventare un motore del movimento. Uso anche task di improvvisazione che invitano le diverse parti del corpo a guidare il movimento, invece di limitarlo a essere “modellato” o a partire solo dal centro verso l’esterno.
Un altro aspetto che sottolineo è quello che chiamo musicalità neurale – un senso del ritmo e del tempo che nasce da sensazioni interne al corpo, piuttosto che da conteggi o battiti esterni. Questo aiuta i danzatori a collegare movimento e percezione in modo più istintivo.
Trovo anche molto utile mostrare io stessa i materiali: molti danzatori comprendono meglio le sfumature del mio linguaggio di movimento osservando come vive nel mio corpo.
Diventare madre porta una nuova dimensione sia al corpo che al lavoro: come ha influenzato il tuo modo di muoverti o di creare?
Essere madre e dare alla luce un figlio è un’esperienza travolgente. Sono piena d’amore e di senso, e allo stesso tempo non riesco ancora ad afferrare del tutto tutti i cambiamenti che sto attraversando così in fretta. Qualcosa è sicuramente cambiato – lo sento in sala. La mia pazienza si è un po’ accorciata, perché la maggior parte ora va a mio figlio. Non so ancora analizzare esattamente che cosa sia cambiato, ma percepisco uno spostamento in ciò che mi interessa. Ho meno pazienza per le cose che non mi portano gioia.
Sento il bisogno di trovare eccitazione attraverso il corpo stesso, più che guardandolo eseguire movimenti “belli”. Il mio periodo a Nuova X mi ha aiutata a riconnettermi con il mio ruolo di coreografa accanto al mio ruolo di madre, e a esplorare come, concretamente, posso tenere insieme le due cose. Ho meno tempo libero per riflettere fuori dalla sala, e a volte penso che sia persino un bene – mi costringe a essere davvero presente nel momento.
Photos by Andrea Guermani, Video by Umberto Sala






Commenti